Villa del Coni, Pian della Tortilla

Il mattino, in Villa, iniziava con un profumo di polenta “brustulada” che aleggiava per tutto il circondario. Polenta e latte era la colazione per le donne e i bambini; per gli adulti invece polenta e formaggio, uova e anche qualche bicchiere di vino. Poi, svelti a mungere le mucche e pulire la stalla, prima di andare nei campi o a scuola. Quello sì che era lavoro. Duro lavoro! Ma, a mezzogiorno, scattava il silenzio. Era l’ora di Radio Capodistria. I pochi che possedevano la radio ne alzavano il volume al massimo, per permettere anche ai vicini di poterla ascoltare. La gente mangiava in silenzio, per sentire gli auguri alle signore, o agli sposi. E poi le canzoni, talvolta struggenti: “A mi fa vignì da plansi quànt chi sinti Beniamino Gigli càl cjànta Mamma”, diceva la moglie, alla quale, in qualche caso, il marito rispondeva: “scolta Bandiera Rossa ca lè miòur”. Non si è mai appurato se per avversione verso la suocera o per credenza politica.

Verso sera, prima del Rosario, si svolgeva il rito della lavatura del radicchio alla “pompa”, oramai scomparsa, posta all’inizio della via Peraredi. Come ogni lavatoio che si rispettasse, oltre alla lavatura dell’insalata, si lavavano anche “le malelingue e i panni sporchi”. E allora, apriti cielo! Non era raro veder volare qualche secchio con il radicchio assieme a qualche ceffone. Memorabile è rimasta la storia di due vicine, una delle quali aveva una terrazza da dove, ogni qualvolta sorgevano delle divergenze fra loro, cercava di dirimerle rovesciando il pitale, debitamente riempito durante la notte, in testa alla rivale.

Dopo cena, d’estate, noi bambini si andava a giocare a nascondino o a rubar l’uva, a seconda dell’avanzare della stagione. Non mancava chi preferiva giocare con i “bussolotti” fatti saltare con il carburo o, peggio ancora, dando fuoco alla coda di qualche malcapitato gatto. Purtroppo, i tempi e la miseria producevano anche questi aspetti crudeli. I “vecchi” invece andavano dal “Nane” o da “Angilin Durigu” (solo più tardi Don Mario aprirà il Circolo Acli), dove andavano a giocare alle bocce o a carte. Succedeva che, qualche volta, qualcuno di essi perdesse il conto dei bicchieri che beveva e allora rincasando, un po’ malfermo sulle gambe cercasse di organizzare, in versione autogestita, un “sit in” canoro notturno. Mi par di sentire, ancora adesso, la voce di Diano cantare a squarciagola: “Maaaarrrrinaaaa, Maaaarrrrinaaaa, Maaaarrrrinaaaa”, svegliando tutto il rione. La kermesse di solito s’interrompeva con la caduta del… microfono su una buca della strada. L’occhio nero che si vedeva il mattino dopo dimostrava l’avvenuto “incidente tecnico”. Le donne, dopo aver riassettato la cucina, in inverno si riunivano, nelle stalle a rammendare, “far la calza” o semplicemente andavano a dormire. La loro giornata era stata dura, forse più dura del duro lavoro di mariti e figli e il sonno era, per loro, riposo e medicina.

A volte mi piace pensare che, fra i tanti americani che si vedevano in giro nel dopoguerra, avrebbe dovuto esserci anche lo scrittore John Steinbeck. Seduto sulla pietra miliare all’angolo della “plazuta” ad osservare il povero, faticoso e a volte tumultuoso svolgersi della vita quotidiana in Villa, fatta di “tacòns sora tacòns tal cul, càjs tali mans e dàlminis tai piè”, ma anche di tanta umanità e solidarietà, avrebbe potuto trarre proprio da questo mondo, straordinariamente simile a quello da lui narrato, lo spunto per scrivere il suo Pian della Tortilla. Ecco, questo era il rione della “Villa del coni”. Un mondo che non c’è più.

Franco Daneluzzi