La guerra che rubò la gioventù

Il fronte del Don veniva aperto 70 anni fa. Lui c’era. Ha resistito ai 42 gradi sottozero della steppa russa, alle esplosioni delle granate e alle piaghe del campo di sterminio. Il cordovadese Luigi Gruarin nacque nel 1918, l’anno del confine, quello dell’epilogo della Grande Guerra. “Vorrei che le giovani generazioni potessero vivere in un mondo senza conflitti – mi ha raccontato un giorno, con gli occhi che brillavano della commozione onesta e convinta dei reduci – ma so che è pura utopia. Perché questi disastri sono il frutto dell’egoismo degli uomini”.

Fece il militare nel 1939 in Slovenia, a Plezzo, nella mitica Divisione Julia. Vestendo l’uniforme dell’8. Reggimento alpini, in quel Battaglione Gemona che oggi dà il nome al corso principale del paese, andò poi in Albania. La strategia geopolitica dei Balcani per Mussolini era una carta vincente. Senza poter mai tornare a casa, un anno dopo fu trasferito in Grecia. Lì venne colpito dalle schegge di una granata e si “guadagnò” tre mesi di convalescenza negli ospedali di Valona e Riccione.

 Una piccola parentesi prima dell’inferno, sancita dai due fiaschi di vino consegnati successivamente ai commilitoni, di nuovo in terra albanese, per onorare un voto. Una pura casualità gli salvò la vita. Per un malinteso con il Comando non s’imbarcò con i compagni sulla motonave Galilea, poi affondata dai siluri. Salì invece sullo scafo che liberò gli ormeggi poco più tardi.

Nel luglio del ’42 partì con la Julia per la Russia. Il 16 gennaio del ’43 cominciò l’allucinante ritirata nella steppa, lunga 300 chilometri. Gruarin fu tra i pochi che giunsero vivi a Kiev, in Ucraina. Tra moto, piedi e treno giunse a Budapest e da lì a Vienna, dove rimase fino alla mattina del 9 settembre 1943. L’Armistizio non gli portò la tregua. Venne catturato dai tedeschi e internato prima nel campo di concentramento nazista di Kaiserstadt Bruche e poi in quello di sterminio di Dachau. In mezzo a quegli orrori sentì molti italiani maledire le madri per averli messi al mondo. Non lui. Nella primavera del ’44, mentre lo trasportavano con altri prigionieri verso Bordeaux per fare da “manovale” ai tedeschi che temevano lo sbarco alleato, fuggì dal treno a Tolosa con un ardito stratagemma. Ma non era ancora finita. Fu costretto a entrare in clandestinità, tra le fila dei partigiani francesi, partecipando alle incursioni dei maquis. Rivide il porto di Genova soltanto nell’ottobre del 1945.

La sua è stata un’esistenza avventurosa, che nel 1956 lo ha ricondotto nei boschi transalpini a lavorare come boscaiolo, quindi in Svizzera da manovale e infine alla Tisa di Bagnara di Gruaro. Luigi Gruarin, morto a 92 anni, mi ripeteva spesso: “Il fascismo, con la barbarie che ha scatenato, ci ha rubato la gioventù“. Una lezione che oggi molti (troppi) hanno dimenticato.

Pier Paolo Simonato