Una conversazione con Andrea Ventoruzzo,”Uno degli ultimi indipendenti”

Quando gli ho domandato se si riconosce in una delle definizioni, che avevo letto da qualche parte, del “lavoro del fabbro”, come di “una attività professionale indipendente che si colloca a metà strada tra artigianato ed arte”, Andrea Ventoruzzo ha tenuto subito a farmi notare che il fabbro, a differenza di un artista, opera su ordinazione.

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La precisazione di questa differenza, che mi è sembrato volesse sottolineare quasi uno svantaggio rispetto a una condizione di maggiore libertà di cui l’artista può godere nel suo lavoro, è valsa al tempo stesso a far emergere alla mia attenzione con maggiore evidenza gli aspetti che invece accomunano l’opera di un artigiano, che modella il ferro per realizzare oggetti su misura per un cliente, con quella dell’artista di professione: per entrambi il prodotto del proprio lavoro è unico e irripetibile ed è, soprattutto, il risultato di un processo di ideazione e di concreta realizzazione nel quale trovano espressione originale le capacità tecniche, la sensibilità e lo stile personale dell’autore.

Ventoruzzo preferisce forse, più concretamente, parlare di “mestiere”, intendendo con questo termine fare riferimento a quella somma di doti naturali, di conoscenze acquisite e di capacità tecniche continuamente affinate dall’esperienza della lavorazione del metallo, che si fondono in un insieme organico, e costituiscono patrimonio soggettivo dell’artigiano, un patrimonio personale destinato a evolversi e ad arricchirsi nell’arco della vita lavorativa, in rapporto agli sviluppi della tecnologia e in diretta relazione con l’evolversi della do-manda dei committenti.

Erede di una antica famiglia di artigiani, esperti nelle lavorazioni del ferro e del legno, la cui attività tramandata di generazione in generazione per più di due secoli ha lasciato a Cordovado tracce importanti – come è testimoniato, per citare solo un esempio, dalla presenza dell’elegante cancello settecentesco in ferro battuto che tuttora si può ammirare all’ingresso del parco di Villa Mainardi – Andrea ha potuto coltivare da bambino e sviluppare molto presto, nella officina del nonno, quelle conoscenze e quella “manualità” che costituisce caratteristica essenziale del mestiere. È lui stesso a ricordarmi che arrivava a malapena all’altezza del vecchio banco di lavoro del nonno, quando cominciava a imparare, sotto lo sguardo del padre, a usare il martello per rompere i grossi pezzi di carbone e ridurli a pezzi più piccoli, del giusto calibro, adatti a sviluppare il calore ottimale per la forgiatura del tipo di ferro impiegato nella lavorazione. Del resto, i suoi genitori amavano raccontare che già subito dopo la sua nascita avevano notato le sue “dita grosse”, un segno promettente delle sue future abilità manuali. E tuttavia il vero e proprio inizio della sua attività professionale di fabbro non è stato lo sbocco diretto, naturale e scontato, dell’esperienza acquisita nell’officina paterna fin da ragazzo.

Convinto che la prosecuzione della nobile tradizione famigliare non dovesse rappresentare per lui una scelta obbligata, e incoraggiato in ciò anche dal padre (Cel-so Ventoruzzo, figura di artigiano conosciuta e stimata, il cui ricordo è ben vivo nella comunità cordovadese), Andrea, completati gli studi secondari, preferisce “uscire” da casa e “guardarsi intorno”; vuole cercare di mettere a frutto il suo diploma di perito industriale, puntando a svolgere un’attività lavorativa qualificata, coerente con il livello della preparazione professionale conseguita all’istituto tecnico. L’occasione si presenta già all’ epoca del servizio militare, quando al termine del Corso allievi ufficiali, con il grado di tenente degli Autieri, decide di proseguire la ferma per ulteriori due anni, e viene assegnato al comando di una delle unità specializzate del Servizio automobilistico (le cosiddette RR) preposta alla manutenzione dei mezzi e armamenti in dotazione del Gruppo di Artiglieria della Brigata corazzata Ariete, di stanza nella caserma di Casarsa della Delizia.

Conclusa l’esperienza militare trova un impiego qualificato presso il linificio di Sesto al Reghena, stabilimento di oltre 200 addetti, ove gli è affidato l’incarico di presiedere alla delicata attività di costante manutenzione degli speciali telai in uso nella produzione, compito che svolge con scrupolo ed abilità, ottenendo il riconoscimento e l’apprezzamento degli stessi titolari dell’impresa nord irlandese costruttrice dei macchinari importati, in dotazione alla fabbrica. In questo quadro, acquista tutto il suo significato la determinazione, cui giunge dopo quasi dieci anni di occupazione nello stabilimento tessile, di rinunciare a un impiego che pure apriva ottime prospettive, per “ritornare alle origini” e intraprendere decisamente il mestiere indipendente di fabbro.

Tale decisione appare come una svolta meditata, “una scelta di vita”, fatta con la piena consapevolezza del significato di dedicarsi d’ora in poi a un’attività autonoma di prosecuzione della preziosa tradizione famigliare. È il 1997 quando, dopo aver messo su famiglia ed avere provveduto a costruirsi la propria casa, Ventoruzzo si iscrive definitivamente all’Albo degli Artigiani. Nell’officina fabbrile di famiglia, dove nei primi anni lavora insieme al padre, fianco a fianco, dividendosi i compiti, c’è sempre anche il vecchio banco di lavoro del nonno.

Ma da molto, ormai, non si opera più solo con il trapano a mano e la saldatrice meccanica. Il mestiere è cambiato e continua ad evolversi assumendo caratteristiche che lo differenziano sempre di più dai modi di lavoro precedenti, anche di quelli propri di un passato recente: alla realizzazione di pezzi unici su ordinazione e su misura, utilizzati nella costruzione di case, come anche di oggetti decorativi, di attrezzi e utensili, si arriva, ora, attraverso processi di forgiatura dei metalli, e in generale di processi di lavorazione, che sono almeno in parte diversi e nuovi, resi possibili dall’introduzione di attrezzature che permettono di velocizzare lo svolgimento di talune operazioni e di ottenere risultati più complessi e sofisticati dal punto di vista tecnico ed estetico. In questo contesto la stessa manualità del fabbro, che continua a costituire caratteristica individuale e fattore determinante per la riuscita e per la qualità dei prodotti del mestiere, si evolve e si affina di continuo, anche nella realizzazione di prodotti tra loro simili, in parte proprio a seguito dell’impiego di strumenti nuovi e di tecniche di lavorazione più avanzate.

Maglio ventoruzzo

Al tempo stesso acquistano più rilevanza che in passato, e richiedono maggiore attenzione e tempo, funzioni e compiti che in epoche precedenti si collocavano ai margini dei processi veri e proprio di modellazione dei metalli, come è per la fase preliminare del disegno e della progettazione dei pezzi da realizzare; e come sono le indispensabili attività, di natura non strettamente tecnica, che attengono alla gestione amministrativa e contabile d’impresa, di cui del resto già negli anni iniziali della collaborazione con il padre era stato proprio Andrea a farsi carico. Mi pare di poter rilevare che emerga con particolare rilevanza, nelle considerazioni di Andrea, il tema del tipo di rapporto che si viene ad istituire, di volta in volta nell’esperienza quotidiana, tra il fabbro professionista, da una parte, e i suoi vari committenti, dall’altra. Sembra essere questo un termine di riferimento essenziale del costante processo di miglioramento e adeguamento professionale che ha sempre caratterizzato la sua attività.

Si può parlare anche, a questo riguardo, di uno standard qualitativo della attività e della tecnica lavorativa propria di ciascun fabbro, cioè di un livello identificabile di “perfezione” dei risultati realizzati, che si riconosce pur nella diversità dei pezzi fatti su misura per corrispondere alle diverse esigenze dei singoli committenti. Si tratta certo di uno standard non immutabile, che è anch’esso soggetto ad evoluzione nel corso dell’esperienza lavorativa. E da questo punto di vista Ventoruzzo tiene a sottolineare anche l’importanza che assume per lui l’attenzione curiosa per le soluzioni tecniche ed estetiche ottenute nei lavori di altri artigiani che realizzano prodotti simili ai suoi, da cui trae stimolo per adeguare e migliorare le caratteristiche del suo stesso modo di operare.

Officina Ventoruzzo

Ma è proprio sulla base del riconoscimento e dell’apprezzamento di questo standard che, a suo giudizio, si può stabilire quel giusto livello di sintonia, tra l’artigiano e il destinatario della sua opera, che rappresenta un elemento essenziale per la buona riuscita di ogni lavorazione: sintonia di intenti, di aspettative e di gusti. “Capire il cliente” vuol dire, certamente, capire come meglio corrispondere alle sue effettive esigenze, ma la sintonia di cui Andrea parla significa anche qualcosa di più: sembra potersi intendere come la condizione che gli permette di impostare in piena libertà la concreta progettazione di ogni sua opera, di pensare con più tranquillità alla meticolosa programmazione delle diverse fasi di ogni lavorazione e alla fine di realizzare un risultato che soddisfa prima di tutto le sue, di aspettative: il pezzo realizzato “deve dare soddisfazione e piacere prima di tutto a me”, dice. Alla fine, riflettendo su queste parole, viene da pensare che, nel suo caso, il tentativo che avevo fatto con la mia domanda iniziale, di scoprire dove si colloca il confine ideale tra l’artigiano e l’artista, perda quasi del tutto di rilevanza.

Giuliano Abate