Da Bologna al Paker

Accadde a Bologna all’inizio dei ruggenti anni Settanta, dentro un negozio di pesca e articoli sportivi di via Sardegna. Il titolare (si chiamava Sandro e tifava naturalmente per i felsinei calciatori della Dotta & Turrita), scopertomi friulano, mi parlò all’improvviso del Paker di Casette.

Ne rimasi folgorato, in preda a quell’abbagliante emozione che solo i bambini sanno provare, tanto immediata quanto sincera e stridente.

Come poteva, mi chiesi, una persona che abitava a 230 chilometri da Cordovado conoscere il lago dalle mille meraviglie della mia gioventù? Quello con le caprette intente a brucare, lo sbuffante trenino della cava, le correnti bizzarre, il granturco incombente sulle sponde, il trampolino per i tuffi, i sassi piatti e leggeri da trasformare in dischi volanti capaci di rimbalzare più volte sul pelo dell’acqua prima di affondare ondeggiando lentamente, baciati dai riflessi trasversali del sole estivo.

Cosa c’entrava lui, cittadino doc ed emiliano verace, con l’estro di quel luogo magico, caro solo ai ragazzi di paese?

Di fronte alla mia meraviglia, l’astuto Sandro svelò l’arcano in pochi attimi. «Sai – rise -, quella è una delle pochissime acque ferme del Nord Italia nelle quali ancora sopravvive il barbo, tra l’altro di buona pezzatura. Io e diversi amici bolognesi ci facciamo un sacco di strada in auto, una volta al mese, pur di venire lì a pescare. Ci sono poi carpe galiziane di 15 chili, tinche panciute cavedani da trofeo. Credimi: di posti così ce ne sono pochi».

Nel tempo le cose sono cambiate.

Meno di due lustri dopo, il “signor barbo” era già diventato un ricordo. Colpa della voracità di carassi e lucci, nonché del peggioramento dell’ecosistema lacustre.

Il Paker è stato chiuso alle lenze pertutto il 2010, con la volontà di ripopolarlo di alcune specie. Dal ghiaione si vedono ogni giorno le carpe pascolare lentamente, serafiche come soltanto i grossi ciprinidi sanno essere. Esplorano i confini del loro regno, si rovesciano con una capriola, spezzano all’improvviso il silenzio con un salto deflagrante. Chissà, magari l’anno prossimo scopriremo che i barbi sono tornati. E, insieme a loro, tutta la magia di un tempo lontano.

Pier Paolo Simonato