Visti da lontano. Quando a Madonna di Campagna si ballava

Primi anni ‘80, Pasqua, sono a casa dei miei suoceri ospite per festeggiare la ricorrenza della tradizione cristiana, il pranzo ha come da consuetudine l’eccellenza della cucina saporita e accattivante della mamma di Rosanna. Dopo aver gustato, a fine pranzo, il caffè bagnato con la “sgnapa”, mio suocero ci invita a giocare al “tiro alle uova sode”. Usciamo nel sottoportico ma non so ancora a cosa vuole alludere, non ho la minima idea di cosa sia questa strana gara. 

Tutti sembrano presi da una strana euforia, fuori un timido sole fa presagire la primavera. “Maria, porta le uova sode!” – dice Umberto sorridendo e gustando una felicità atavica. Intuisco che questi gesti fanno parte della tradizione popolare: da sicuro padrone di casa organizza la prova, che sa di usi e costumi ripetuti nel tempo. “Berto, ecco qua…”: in un cestino ci sono quattro uova sode e con rapidità mio cognato ne posiziona uno sul bordo di uno scalino di marmo con abilità tale da farlo stare dritto e stabile. I figli, anche loro, conoscono la tradizione, e rimango incuriosito dallo sviluppo. “Fora i schei!” – replica Berto con un pizzico di ironia. Le donne cercano nei loro borsellini, ed ecco uscire le 50 lire che saranno i proiettili da lanciare. Dunque, a una distanza di tre metri circa, qualcuno si sporge molto in avanti, bisogna lanciare una moneta che deve conficcarsi nell’uovo, senza però cadere, insomma una prova di abilità degna delle freccette, ma ancora più difficile perché il tiro non deve essere troppo forte né troppo debole. Nonna Maria, pensandoci bene, mi raccontava che vendeva in negozio i coloranti per tingere le uova sode per le feste pasquali. 

Erano ore spensierate, che aggiungevano una gioia per la vittoria – puntuale Berto se le aggiudicava quasi tutte – ma che soprattutto riunivano familiari e amici in occasione della Pasqua con lo spirito cristiano della condivisione. Chissà da dove veniva questa usanza, mi chiedevo. 

Gennaio 2021, nelle mie continue escursioni storiche un giorno mi venne sotto gli occhi lo splendido libro-tesi su Santa Maria di Campagna della dott.ssa Claudia Benvenuto, edito nel 2002, grazie al quale mi sono imbattuto, rileggendo alcuni capitoli, in una serie di testimonianze davvero chiarificatrici. Il giorno di Pasquetta a Madonna Campagna si organizzava la festa di Primavera, fin dagli anni tra le due guerre, dove era caratteristica fare il pic-nic a base di frittata e di uova sode. Accanto alla chiesa, sul prato adiacente, veniva allestito un tavolaccio per il ballo, con orchestrina, qualche bancarella e il richiamo era straordinario: le persone venivano alla sagra da Sesto al Reghena, Morsano, Gruaro, era considerata la festa più importante del territorio. Così racconta, dal testo della Benvenuto, la fruttivendola dall’animo gentile Carmela Colloredo: “C’era la giostra coi sedili, c’era la musica e suonava. Noi si portava via gli uovi duri e li si metteva in fila nel prato e si gettavano cento lire. Chi prendeva, prendeva l’uovo”. Anche Caterina Nonis di Ramuscello racconta come negli anni 1927/1928 ci fosse grande festa: “si zojava a li balutis, a scundisi, coi clapus e coi oufs cun sinquanta schei”. 

Mi son chiesto da dove provenisse l’usanza del tiro all’uovo sodo, e senza andare ulteriormente indietro nel tempo mi basta sapere che negli anni ‘20 del Novecento a Madonna di Campagna c’era la festa di Pasquetta con la tradizione dell’uovo sodo da infilzare, la generazione dei nostri nonni lo sapeva bene e le tradizioni sono importanti. Il nostro passato ci insegue comunque a prescindere dalla nostra volontà, dalla smania di modernità, dalla dimenticanza delle nostre origini, ma non ci inganna né ci opprime, inconsciamente ci dà la chiave di lettura delle nostre caratteristiche e ci spiega il perché anche un uovo sodo può essere importante quando emerge quale simbolo di comunità e di devozione religiosa. 

Roberto Zanin