Curtis Vadi, il mio ricordo

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Settembre 1970, il fermento sociale era nella norma, noi studenti eravamo insigniti dell’opportunità della partecipazione come dice Giorgio Gaber in una sua famosa canzone, noi giovani avevamo il compito di trasformare la società a volte ingiusta e sicuramente classista in una democrazia compiuta, in un sistema di libertà garantite.

Avevo sedici anni ed ero entrato da un po’ nel giornale di Cordovado, Curtis Vadi, la nuova voce del paese, quasi una naturale inconscia adesione a quella iniziativa che dava ai giovani la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, che consentiva di replicare a chi imponeva il potere a Cordovado, seguendo ovviamente papà Tarcisio chiamato a dirigerlo. Quanti ricordi, quante lotte, quanta energia profusa, dalle riunioni per la composizione delle pagine, con la lettura dell’articolo proposto, alla difesa dalle critiche mosse dalla redazione, risento gli scontri ideologici che contrapponevano liberismo, socialismo, marxismo in un continuo confronto di posizioni, palestra di democrazia, dove l’amicizia vera faceva superare ogni distanza politico-partitica. 

Poi finalmente l’odore della carta stampata, le fotografie in primo piano, gli editoriali, il giornale era stato stampato dalla tipografia Castion di Portogruaro, i pacchi di carta stampata dovevano essere distribuiti a mano, casa per casa, alla domenica mattina, superando la timidezza e affrontando chi non gradiva il “taglio” critico del foglio locale, partendo dall’oratorio in coppia per supportarci a vicenda. Il freddo in inverno che ghiacciava le mani era il periodo peggiore ma a volte capitava di inebriarsi, di gioire per i complimenti di chi ci riceveva con cordialità e che aveva la capacità di riconoscerci lo sforzo per riuscire nell’iniziativa. Erano parole che riempivano il cuore e ci caricavano per continuare, o quando ricevevamo posta dagli emigranti che struggevano per la malinconica lontananza e che ci invitavano a non mollare ma quando le porte si chiudevano seguite da imprecazioni che fa si che l’ignoranza gridi, lo sguardo si abbassava a guardare terra, riflettevamo se i toni degli articoli erano stati troppo severi o se avevamo tralasciato opzioni importanti, visioni sociali diverse dalle nostre. Sicuramente coerenti nel difendere il principio che tutti avevano il diritto di replica, che tutti potevano criticare le nostre posizioni, eppure a distanza di tanti anni sento ancora l’orgoglio di quella nobile appartenenza. 

A quel tempo, in cui ogni redattore sentiva immanente l’impegno per la comunità di Cordovado, essenziale era lo spirito di servizio che faceva muovere. Avevo sicuramente nella mia militanza un vantaggio nell’essere figlio del direttore, infatti a casa si discuteva spesso delle linee guida da seguire, sentivo le discussioni dei collaboratori che dibattevano con papà, ero aggiornato sui temi trattati, vedevo e registravo la determinata difesa che papà attuava quando era oggetto di minacce da parte di estremisti in paese che assumevano i toni della commedia alla Peppone e don Camillo. O quella domenica mattina che monsignor Aldo Pagnucco aveva suonato il campanello di casa, dopo essere sceso dalla bicicletta e rimboccato il nero pastrano con scenica teatralità e aveva iniziato una lunga invettiva contro il giornale all’indirizzo di mio padre: “È un immane disastro, nevvero, quando la democrazia narcotizza le menti. Ma che dico, nevvero, distrugge ogni senso della responsabilità civile e spirituale…”. L’aveva punto un “calabrone”, il Curtis Vadi! Tutto finì in grandi sorrisi, e dopo aver sorseggiato un buon bicchiere di vino la domenica tornò un giorno di festa: anche questo era il giornale. 

Quanti ricordi e quanta strada fatta da quel lontano 1968 ad oggi, cinquantadue anni di continuità e di compagnia alla nostra comunità, anni in cui se non sapevi dove rivolgere una protesta il giornale dava voce a tutti. Sono passati gli anni, ma sapere che il Curtis Vadi c’è dà più sicurezza. Grazie. 

Roberto Zanin