Una gita a Castelmonte

Eravamo un bel gruppo di giovani cordovadesi, occupati come apprendisti nelle officine Gaspardo di Morsano. Agosto 1963, quell’anno il “paron” decise di chiudere la fabbrica per una decina di giorni. Finalmente un po’ di riposo.

Si lavorava in quell’ambiente per 9-10 ore al giorno, sabato compreso, ogni tanto anche la domenica. Non esistevano diritti di nessun tipo, e i sindacati non sapevamo cosa fossero. Beniamino Ros era un sedicenne appassionato di ciclismo. Partecipava già, con la sua bicicletta da corsa, alle gare giovanili che si svolgevano nella nostra zona. Un giorno ci propose di fare una gita fino a Castelmonte. “Non è lontano: 80 km all’andata e 80 al ritorno. Cosa sono?”, veniva da pensare con ironia, noi che con le nostre biciclette eravamo giunti al massimo fino a San Vito o a Portogruaro.

“Vi racomandi fioi”: preparare bene le biciclette, con il cambio funzionante, per fare la salita che parte da Cividale occorre un rapporto leggero. Io avevo una bella bicicletta, una Iride costruita alla Gemmati di Cintello, ma priva del cambio. Mi feci prestare per l’occasione quella di mio cugino: aveva il cambio ma era piuttosto malridotta. Non l’avessi mai fatto. L’appuntamento era fissato per martedì 13 agosto alle 06.30. Per noi era un orario normale, dato che si iniziava a lavorare alle 7. Tutti pronti, nel piazzale della “Shell”, la stazione di rifornimento carburanti, aperta non da molto sotto la gestione di Berto Petraz. Davanti alla latteria eravamo io, Beniamino, Toni Gaiardo, Mario Tomadon, Luciano Fiorido, Luciano Fabris; si aggiunsero Giordano Roviani e Paolo Danelon, e qualche altro di cui non ricordo il nome. In tutto eravamo circa una decina.

Avanti, via: felici nella nostra avventura. In fila indiana, Beniamino davanti imponeva la sua andatura. Qualcuno perdeva terreno, piano, più piano. A Codroipo Giordano sbuffò: “Soi stuf, torni indriu!”. Ma Beniamino: “dai fioi, fin a Udin sensa fermassi”. Sul rettilineo dopo Codroipo ci sembrava di scorgere la strada in salita. Toni chiedeva: “ma in duà eia la salida?”. Arrivati a Udine ci fermammo solo per pochi minuti, perché Beniamino disse: “Fioi, è meglio tirare avanti, fermarsi significa perdere forze per la salita”. Se lo diceva lui, c’era da fidarsi.

Oltrepassammo Remanzacco, Cividale, il ponte del diavolo. Ai piedi della salita Beniamino ci invitò ad aggredirla con la dovuta calma. Lui davanti e noi dietro, le prime due salitine riuscimmo a farle assieme. Poi, a me saltò la catena, il cambio bloccato sul rapporto più duro. Mannaggia, niente da fare, non riuscivo ad andare avanti. La ruota davanti si girava indietro: a piedi tutta la salita. Solo Toni e Mario riuscirono a resistere e a vedere per un po’ da dietro Beniamino che spavaldo si involava verso la vetta, forte come Massignan. Tutto il resto del gruppo, invece, fece la salita a piedi: 9 km. Quando arrivammo, dopo circa due ore, Beniamino era seduto su un muretto, e in tono amichevole e scherzoso se la rideva. Eravamo stravolti, non avevamo nemmeno la voglia di mangiare un panino, talmente affaticati da non riuscire a stare in piedi. Restammo seduti, sdraiati: per quanto tempo, non lo so.

“Ragazzi, ora bisogna entrare in chiesa”, disse qualcuno. Eravamo “bravi fioi”, non si mancava mai alla messa domenicale e alle altre manifestazioni religiose, più per tradizione che per convinzione. Noi di Saccudello partecipavamo alla messa domenicale delle 8.30 nel Santuario della Madonna. Da piccoli assistevamo attorno all’altare alle prediche del cappellano don Mario Del Re. Ogni tanto appariva il parroco don Aldo Pagnucco, ed erano sicuramente eventi particolari. Con la sua potente verve, dimenticava spesso il Vangelo per scagliarsi contro tutte le nefandezze esistenti nel mondo. I presenti si osservavano perplessi, mentre noi, crescendo, ci si allontanava piano piano dalle vicinanze dell’altare. Si assisteva alla Messa sempre più da lontano, fino a rimanere fuori, vicino a quella porticina adiacente all’abitazione del dottor Galassini, che conduceva in sacrestia. In certe occasioni usciva anche il non solo “Bisuti”, Giovanni Marzin, che mormorava tra sé: “Sicuro ieri sera el xè sta a sena dalla Cester o la de Topani”. Entrati nella chiesa di Castelmonte, addobbata da una quantità infinita di “P.G.R.”, quadri di riconoscenza per Grazie ricevute, ci mettemmo in fila per la confessione. Nella parete del confessionale c’era una scritta in bella evidenza che ricordava che chi aveva votato per i comunisti non avrebbe ricevuto l’assoluzione (c’erano state le elezioni pochi mesi prima).

Non appena il frate aprì la grata con quei piccoli buchi, mi chiese: “Per chi hai votato?”. Risposi che non avevo ancora l’età per votare. E il frate: “non dire bugie, quanti anni hai?”. “Diciotto” risposi. “Va bene, va bene”, disse. Mi ha così sconvolto quell’episodio che in futuro avrebbe pesato moltissimo sulle mie scelte. Il ritorno, in discesa, fu tutto più facile e divertente. Eravamo in gruppo, contenti di aver fatto una bella gita. A metà strada, non ricordo il posto esatto, forse Campoformido, ci fermammo in uno spiazzo dove vendevano angurie. Comprammo una grossa anguria, che gustammo con la nostra spensierata giovinezza, ancora tutta da spendere.

Giuseppe Bagnariol