Gli anni del cineforum

Pubblicato in Cultura

Cordovado una volta aveva un cinema, il cinema Orfeo. Orfeo è un musico e poeta della Tracia che nella mitologia greca dopo aver sposato Euridice la perde morsa da un serpente, e decide di scen- dere nell’Ade, regno dei morti. Con il suo dolcissimo canto muove a pietà le divinità infernali che decidono di restituire la vita ad Euridice, alla condizione che non la guardasse prima di aver varcato le soglia dell’Ade, ma il sentimento troppo forte di Orfeo la perde di nuovo. Chissà chi decise di chiamare così il cinema di Cordovado, che dagli anni ‘50 ha portato film in paese assieme all’altro cinema, l’Italia, uno sito in piazza S. Caterina e il secondo nel cortile di curva Covassin. In quel tempio del divertimento ci fu un tempo in cui il Circolo Culturale Bozza e i ragazzi del Curtis Vadi iniziarono i cicli del cineforum.

Precisamente dal 1968, con la prima proiezione di Fahrenheit 451 del regista Truffaut. Il cineforum era una proposta per discutere dei temi proposti da una serie di film d’autore con riflessioni sociali, innovativi linguaggi dell’immagine, per l’impegno politico: una palestra che ha visto coinvolti molti di noi, sospinti da Livio Variola e dall’amico Lucio Leandrin, impegnato in un nobile lavoro di divulgazione della cultura cinematografica. Parliamo dei primi anni ‘70, che vedevano una forte politicizzazione degli studenti e in genere dei giovani trascinati dalla rivoluzione sessantottina. Non c’era molto oltre a stampa e televisione, che proponevano ridotte possibilità di conoscere il cinema d’autore, di impegno sociale. Il cineforum era quindi un’occasione unica, di ottimo livello, per approfondire la comprensione dei messaggi contenuti nel cinema d’impegno civile. Non nascondo che se oggi ho in qualche maniera un’opinione estetica, di critica sulla tecnica dialettica, su colonna sonora e utilizzo dell’immagine, lo devo in parte allo stimolo ricevuto in quegli anni.

Le serate erano strutturate con la presentazione del film a cura di alcuni di noi, anche con note biografiche su regista e attori, la proiezione e poi il dibattito con il pubblico, nel quale facevamo da moderatori. Una forte timidezza mi assaliva quando era incessante la tentazione di alzare la mano per proporre una riflessione, anche perché eravamo d’accordo che in caso di impasse, di silenzio da parte del pubblico, noi amici dovevamo intervenire per rinfocolare il dibattito. Mi passano per la mente alcuni titoli: La Via Lattea, Galileo, Blow up, Non si uccidono così anche i cavalli, Uccellacci uccellini, Zabriskie Point, Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto. E registi che hanno fatto la storia del cinema: Cavani, Petri, Antonioni, Pollack, Gavras, Bunuel, Pasolini, in una continua ricerca qualitativa.

Poi venni coinvolto assieme all’amico Sandro Colloredo nel presentare Tempi moderni di Chaplin, era il novembre del 1973. Quando mi si presentò quell’occasione conoscevo Charlot come una maschera protagonista di film comici alla Stanlio e Ollio, a cui non avevo mai dato troppo peso artistico e culturale. Mi dovetti gettare nello studio della sua pionieristica cinematografia che partiva dal muto, scoprendo un gigante sia della tecnica filmica sia dell’abilità interpretativa. In quella pellicola c’erano tutti gli elementi distintivi della satira, dove oggetto di caustica ironia erano il sistema capitalistico, le alienazioni della modernità, il difficile rapporto tra uomo e macchina per la
prima volta denunciati nel 1936. Sandro ed io ci impegnammo molto e la serata fu fluida. Ovviamente partecipavano alle serate anche aderenti a partiti politici che prendevano spunto da qualunque situazione di disagio sociale, di critica, per incanalare la discussione sui binari della propaganda partitica, in particolare gli aderenti a gruppi extra parlamentari di sinistra o destra che proponevano volantinaggi contro il potere costituito, invio di armi in zone di guerriglia antidittatura nel sud America, ma a questo eravamo preparati e alla fine tutto rientrava nella normalità. Quelle sere di cineforum, assieme alle infuocate riunioni della redazione del Curtis Vadi sono state una palestra di democrazia, di studio, di solidarietà, di esercizio civico, di servizio alla comunità non sempre sensibile alle iniziative presentate, che in quegli anni sdoganava quel piccolo, grande paese di Cordovado.

Consentitemi di ringraziare gli amici, mediamente più anziani di me, che hanno aperto la strada a queste esperienze formative facendo crescere il tessuto sociale cordovadese. Quando la sera uscivamo all’aperto in piazza S. Caterina, respiravamo l’aria umida della notte che ci rinfrescava dalla calorosa serata ed eravamo in pace con noi stessi. Continuavamo a pensare che avremmo finalmente cambiato il mondo ingiusto, in meglio naturalmente, e non ci accorgevamo che già avevamo guadagnato la nostra solidarietà e amicizia più di ogni rivoluzione epocale.

Roberto Zanin