La squalifica a vita

Era il 24 novembre 1974 e la partita tra Fiume Veneto e Spal si giocò su un campo molto fangoso.

Alla fine della partita, dopo che l’arbitro, il signor Malavita, fece di tutto per farci perdere,stavamo andando verso lo spogliatoio, quando squalificò due dei miei compagni, prima il “Tubo” e poi il “Cico”. Allora io, che ero il capitano della squadra, lo colpii con un pugno alla nuca e lo mandai ko. Poi gli altri diedero il resto. Presi tanta di quella paura, che pensavo di averlo ucciso. Restò incosciente per dieci minuti, arrivò l’ambulanza e lo portò in ospedale. I giornali, il giorno dopo, dissero che lo avevo colpito con un grosso sasso.

Una volta guarito, ingaggiò l’avvocato Malattia, il migliore di Pordenone, il quale ci convocò e dopo aver sentito la mia versione mi dette ragione. Allora lo lasciò e presentò denuncia ai carabinieri. Ci trovammo davanti al giudice e si combinò con una penale di 500 mila lire. Fui squalificato a vita. Dopo un anno circa, mandai lettere di scuse e domanda di grazia ai presidenti del CONI dei dilettanti e dei professionisti, e tutti gentilmente mi risposero di aver fatto la domanda troppo tardi.

Nell’agosto del 1978 giocai un’amichevole contro la Triestina che militava nel campionato di serie C ed era in ritiro a Forni Avoltri, e il suo allenatore Bosdaves mi chiese se volevo andare a giocare con loro. Purtroppo dissi di essere squalificato e così non si fece niente. Dopo un mese mi arrivò il condono, ma era ormai troppo tardi. Peccato. Questa storia mi insegnò che, per quanta rabbia si abbia, non bisogna mai reagire in quel modo.

Piero Dorigo