Viticoltura eroica di qualità e competitiva

Questa sarebbe la forma di viticoltura che si svolge nelle “colline del prosecco” di Treviso e Belluno, e presto forse anche da noi. A molti infatti non sarà sfuggito, a Cordovado e dintorni, l’affitto di terreni a rotazione per l’allevamento di barbatelle da parte dei vicini vivai di Rauscedo e l’impianto, da parte di privati, di nuove vigne a Glera da prosecco, anche estirpando le viti già esistenti.

Perché l’uva in questione è assai redditizia e di moda al momento, e viene pagata fino 1.5 € al kg. Una viticoltura da noi molto meno eroica per l’assenza di dislivelli, magari competitiva in termini di mercato (=esportazione), ma non meno nociva per l’ambiente e la salute di chi vive nel territorio interessato e quindi in realtà di pessima qualità. Emblema di cosa significhi pessima qualità sono le vicine zone D.O.C.G. Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene e dei Colli Asolani, amene dal punto di vista paesaggistico e da tempo un “uvificio” industriale che porta centinaia di migliaia di euro nelle cantine trevigiane, e tra i 30 e i 40 trattamenti con pesticidi l’anno (quando va bene), su vigneti impiantati anche a 10 metri da scuole, asili, giardini pubblici, strade, zone residenziali.

Ciò che succede in quelle colline indica come la coltura del prosecco costituisca una minaccia ambientale e sanitaria non trascurabile: madri con figli costrette a trasferirsi, scuole chiuse e bambini barricati in casa (con sistemi di filtraggio dell’aria), divieto di transito da aprile ad agosto attraverso i vigneti (causa trattamenti in atto), impossibilità ad aprire le finestre e stendere abiti a causa del forte odore; sulle strade capita di essere letteralmente lavati dalle sostanze diffuse dall’elicottero o dagli atomizzatori. Sostanze spesso autorizzate in deroga anche se hanno effetti cronici sulla salute umana o vengono considerate “possibili cancerogeni” dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità.

Tutto questo può sembrare esagerato, ma i dati forniti dalla sola USSL7-Pieve di Soligo per gli anni dal 2007 al 2011 indicano un aumento medio anno del 5.5% degli individui soggetti a patologie neoplastiche maligne, con in media 1130 nuovi soggetti all’anno tra il 2009 e il 2011, 1 ogni 22 abitanti. L’analisi delle urine dei viticoltori prima e dopo i trattamenti (cioè senza protezioni), ha evidenziato valori di inquinanti fino a 4 volte superiori alla media dopo i trattamenti stessi: questa è anche la condizione delle persone che vivono vicine ai vigneti, che ovviamente non vanno in giro con maschera e tuta.

Il profitto facile e veloce, passeggero in attesa della prossima coltura “redditizia”, porta a deroghe e deroghette a prodotti come: mancozeb (erbicida cancerogeno), glifosate (erbicida cancerogeno, utilizzo prorogato dall’UE fino al 2022), clorpirifos (erbicida interferente endocrino), tiram, metiram, propineb e zineb (alteratori ormonali). Anche lasciando stare considerazioni sullo stato delle falde acquifere, dei suoli e del vino che beviamo (che meriterebbero un discorso a parte), è incontestabile la relazione tra molti fitofarmaci e tumori, in particolare linfomi, mielomi e leucemie, ma anche tumori solidi, malattie respiratorie, malattie neurodegenerative come Parkinson, Alzheimer e sclerosi laterale amiotrofica (SLA), autismo, deficit di attenzione ed iperattività, diabete, disordini riproduttivi, malformazioni fetali, disfunzioni tiroidee. La coltura intensiva delle uve da prosecco che si affaccia nei nostri territori costituisce dunque un problema ambientale e sanitario di considerevoli dimensioni, soprattutto per chi col prosecco non fa affari.

Le amministrazioni comunali sono le responsabili della tutela della salute dei loro cittadini e farebbero bene a vietare del tutto nei loro territori le colture e l’impiego di prodotti fitosanitari con gravi impatti negativi sulla salute e l’ambiente tutto.

Davide Roviani