Quei pergolati di viti selvatiche

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Nelle case agricole di un tempo i contadini usavano formare, a ridosso dei muri o sul perimetro degli orti, dei pergolati di viti selvatiche – dette anche viti americane – di bacò, di clinto e di fragola. Erano piante che non necessitavano di cure particolari e anzi permettevano, grazie alla loro precoce maturazione, di gustare il primo vino di casa, forte e denso, ottenuto mescolando insieme le tre varietà. Aggiungo che dovevano disporre di uno stomaco di ferro.

Le piante delle viti selvatiche venivano “incalmate” (innestate) dall’esperto di casa con le “incalmele” (gli innesti) di uva da tavola, merlot e tocai, secondo regole sperimentate da generazioni.

Le viti da “incalmare” venivano tagliate all’altezza di un metro e mezzo e in uno spacco realizzato sulla superficie orizzontale di ogni pianta, venivano inseriti due innesti della nuova varietà.

Intorno all'”incalmo” (cioè alla pianta della vite e agli innesti) si applicava una corteccia di salice (il “vencher”) legata stretta con alcune cordicelle o con un giunco. Il contenitore così ottenuto si riempiva con sabbia fine e qualche tempo dopo spuntavano le gemme che originavano i nuovi tralci. Verso il 1948, avevo allora meno di dieci anni, ho assistito alle operazioni di innesto eseguite da un grande amico di mio padre, Lino Giusti, che abitava nei pressi della bottega di Vito Crismale in fondo a via Roma. Combatterono insieme nella Grande Guerra 1915-18.

Nel cortile della nostra casa in piazza Santa Caterina già esistevano le piante di uva da tavola, vecchie di almeno mezzo secolo, del nonno Francesco Monopoli. Erano scarsamente produttive e Lino innestò le viti di bacò lungo i muretti di confine con delle barbatelle avute da “sior” Adriano Cargnelli. Seguito come un’ombra da mio padre Nicola, che controllava ogni sua mossa, Lino eseguì tutto a regola d’arte; spuntarono le gemme e si formavano i tralci fissati ai fili di ferro di sostegno.

Trascorsero un paio d’anni e finalmente comparvero i primi grappoletti: sorpresa, si scoprì che due o tre viti producevano in un tralcio uva nera e nell’altro uva bianca.

Mio padre brontolò ma non si lamentò con l’amico; forse si era reso conto che Lino si era confuso, in soggezione per la sua insistente presenza.

Mario Monopoli