Quelle serate nella “plazuta”

Ci rimasi male quando lo venni a sapere. Non è possibile, mi dissi in quel lontano 1986, che abbiano dimenticato il rione della Villa del “coni”. Avrebbe sicuramente ben figurato. Aveva da tempo immemorabile anche lo stemma e, soprattutto, aveva tanta storia come bagaglio. Una storia che lo portava ad essere un po’ il centro di attrazione per tutta la zona posta a sud delle scuole. Infatti il suo centro è formato da un incrocio di cinque strade. Una volta si diceva che c’erano più bambini che sassi, nella Villa. Ogni famiglia contava due, tre, quattro e più bambini (onda lunga del ventennio) i quali, esclusi quelli già in età lavorativa, in pratica crescevano in mezzo alla strada. Non c’erano ancora i pericoli di oggi, a parte qualche carretto col “mus”.

 

Solo Don Mario con i suoi Esploratori rappresentava un punto di riferimento sicuro per i ragazzi di un tempo. Le sue squadriglie di Aquile, Leoni, Scoiattoli e Lupetti attiravano buona parte dei giovani togliendoli dalla strada e dai pericoli. La “plazuta” era contemporaneamente: palestra, stadio e ritrovo per quattro chiacchiere (esiste ancora la pietra miliare dove si sedevano i più anziani a fumare il sigaro). C’è ancora chi si ricorda i pericolosi “lanci” di Bepi Bagnarol, che faceva dopo aver masticato a lungo mezzo sigaro toscano. Se venivi colpito: mezz’ora di spazzola e sapone non te la levava nessuno. Memorabili, poi, erano le serate danzanti con il “complesso” Gino Tomadon – Micel Bagnarol (il Sammy Davis jr. dei Paradeis) – Rino Zadro – Luciano Nosella e altri. Si ballava con i “socui”. Il “gniu gnau” era un insieme di note legate fra loro “cul spàc sfuarçìn” che riuscivano ugualmente a divertire e tenere svegli i ballerini, fino al richiamo della mamma o all’apparire della “rodia” (una sorta di bonaria strega) sul “barcuniel” della soffitta di una casa vicina, che con strani gesti inarticolati spaventava chi la vedeva. E, allora, le ragazze delle vie più lontane, al Tiglio, Teglio, Rivis e Peraredi, tornavano a casa con passo svelto, ma non tutte. Alcune trovavano sempre un sassolino nella scarpa che gli impediva di proseguire costringendole a fermarsi finché… arrivava il moroso per accompagnarla a casa. Più di un matrimonio è nato così. E don Aldo “a Messa granda” tuonava contro questa sorta di agenzia matrimoniale ante litteram. Più tardi lo farà anche contro la Vespa e soprattutto contro l’impermeabile.

Ma il meglio del repertorio la band lo dava alla festa dei coscritti. Quando dal carro, addobbato con le “frasche” e debitamente rifornito di “fiasche di carburante” marca Merlot, si scatenava in strepitosi tanghi, valzer, polke attirando le ragazze a ballare con i coscritti. Qualche giorno prima della visita di leva appariva, scritto con la calce sui muri delle vie, la scritta “Viva il 1932” o 1933 etc. seguito dal logo (si direbbe oggi) per onorare l’anno di nascita dei coscritti. Ne ricordo una, sul muro “del capitano Valvo”: “Viva il 1922”.

Il “coni“, simbolo della Villa, non indicava l’acronimo dell’istituzione sportiva nazionale bensì mezza incudine, vista dalla parte del cono. Anche se la Villa, in fin dei conti, ha dato i natali al fior fiore dei giocatori spallini degli anni ’50. Indimenticabile rimane il Poppi Facca, che con suo fratello Pino e il mitico “Gubit” Micel Bagnarol hanno fatto grande la SPAL. Rimangono sconosciute le origini grafiche del logo. La tradizione vuole che rappresenti le diverse realtà fabbrili presenti nel rione. Una delle quali, la famiglia Ventoruzzo, presente gia nel ‘700, dove hanno imparato l’arte (di vera e propria arte si tratta) generazioni di artigiani.

Franco Daneluzzi