Geremia, portiere di cuore

C’è chi ama i portieri spericolati come il fiorentino Frey, chi apprezza i guardiani spettacolari come l’interista Julio Cesar, chi preferisce i tipi freddi come il milanista Abbiati, chi stravede per quelli ad alto tasso tecnico come lo juventino Buffon e chi ammira gli incantatori di rigoristi come l’udinese Handanovic.

Claudio Geremia, per tutti “Il biondo“, riusciva a piacere a tutti mettendo insieme doti diverse e complementari: presa d’acciaio, colpo di reni, comando della difesa, prontezza nelle uscite alte, senso della posizione, rispetto dei compagni, occhio sicuro. Ma soprattutto era genuino, modesto, sincero e generoso anche fuori dal rettangolo dei sogni.

Se n’è andato a 67 anni, all’improvviso, senza avere neppure il tempo di salutare la moglie Lidia, i figli Carlotta e Francesco, i nipoti e il fratello Alfredo.

È stato fino all’ultimo uno sportivo vero. Calcio, ciclismo, podismo e mountain bike erano incisi nei cromosomi del suo dna. Durante cinque lustri di carriera ha difeso tanti pali. In primis quelli della leggendaria Spal degli anni Settanta, una squadra che si stava ritagliando orizzonti di gloria impensabili nel gotha del pallone regionale. Ma anche alla corte del Portogruaro e nel Bagnarola ricordano con affetto i suoi tuffi, le prodezze sui tiri degli avversari dagli undici metri, i traversoni respinti a pugni chiusi, i rinvii chilometrici che diventavano preziosi assist per i compagni d’attacco. “Il biondo” aveva saputo leggere e interpretare il ruolo di numero uno in maniera estremamente moderna per i tempi: frequenti uscite di piede, esplosività muscolare, controllo del perimetro dell’area piccola, ripetute in allenamento, potenziamento muscolare senza ricorrere ai pompaggi.

Una volta appesi gli scarpini al chiodo aveva maturato, insieme al fratello, l’esperienza dirigenziale in seno alla stessa società giallorossa (“la mia seconda famiglia“, la definiva).

In un giorno di tanti anni or sono, mentre da ragazzino con qualche chilo in più e i guanti da neve adattati alla bisogna cercavo di emulare le sue gesta atletiche nel campo improvvisato del Parco Cecchini, mi si avvicinò sorridendo. «Per fare il portiere – raccontò – servono soprattutto tre doti: coraggio, equilibrio, serietà. Non devi parare con le mani, ma con il cuore». Io ho pensato che lo stesso “schema” si potesse applicare alla vita, al lavoro, alle scelte. Bene: oggi posso dire che Claudio aveva proprio ragione.

Pier Paolo Simonato