Storie di guerra e pace

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Si fa presto a dire reduce. In realtà, dietro ogni vicenda legata al Fronte c’è una storia diversa, originale, dura e tutta da scoprire. Nell’arco di 60 giorni, tra giugno e luglio, Cordovado ha dovuto congedarsi da due ex soldati. Né l’uno né l’altro amavano mostrare le loro medaglie. Preferivano invece disquisire con i giovani sulla follia del conflitto e sui mostri che le armi sanno lasciare dentro le persone a distanza di mezzo secolo.

A 94 anni è “andato avanti” Luigi Battaglia, di Saccudello. In forza al 3. Reggimento granatieri, aveva cominciato garantendo il servizio di guardia al Quirinale. Poi era finito sul caldissimo fronte greco, sempre con la divisa dei “Colossi del re”. Dopo l’Armistizio dell’8 settembre ecco la deportazione in Germania e l’orrore del campo di prigionia. «Ci costringevano a lavorare 14 ore al giorno – raccontava senza retorica – e in condizioni terribili. Vedevo la gente morire vicino a me e potevo aiutarla soltanto con le parole. Troppo poco.

La guerra e le sue conseguenze sono la vergogna dell’umanità». Ma anche l’inferno può finire. Così nell’ottobre del 1945 matura il ritorno in paese, seguito dall’impegno politico come segretario sezionale del Partito socialista e dalla presenza in Consiglio comunale. Coltivatore diretto e medaglia d’onore della Presidenza del Consiglio, i suoi punti di riferimento ideali sono stati Nenni e Pertini. Mica poco.

Poi è toccato a Casimiron Tolfo, 88 anni, gli ultimi dei quali passati in una struttura sanitaria di San Giovanni al Natisone. «Non avrei mai pensato – la testimonianza di Miro – di poter uscire vivo dal campo di sterminio di Dachau. A un certo punto, fra stenti e malattie, mi sono ritrovato a pesare 33 chili. Ma non mi sono mai arreso. Sono andato avanti con ostinazione, cercando sempre di sopravvivere e di resistere, anche se ormai assomigliavo più a un fantasma che a un uomo».

Entrato giovanissimo in una piccola fabbrica del settore meccanico, avevo smesso la tuta e indossato l’uniforme nelle trincee francesi. L’8 settembre l’aveva costretto alla prigionia nel lager di Dachau, per lavorare a vantaggio della fabbrica di morte della Messerschmitt, tra una bastonata e una scossa elettrica. Un’odissea interrotta dall’arrivo degli americani, con successiva fuga in compagnia del ricordino garantito da una pallottola tedesca nella coscia. A seguire: febbre, delirio, stampelle e (finalmente) di nuovo l’officina. Per sei lustri ha gestito il distributore di benzina di piazza Santa Caterina.

La loro vita è stata dura. Che almeno, per loro, sia lieve la terra.

Pier Paolo Simonato