Diario di un partigiano

Scrive lo storico Mario Isnenghi: “Le scelte politiche non sono azzerabili. I fascisti hanno voluto una guerra di aggressione, le leggi razziali, il concorso al genocidio degli ebrei. I partigiani, invece, hanno contribuito a salvare la faccia del popolo italiano, dissociandolo dalle scelte disastrose di Mussolini e aiutandolo a uscire da un’impresa vergognosa”. Poi, resta vero che tutti i morti meritano rispetto e “pietas”, elementi costitutivi di ogni democrazia, e che fu “guerra totale, civile e terribile“, per dirla con Edoardo Pittalis. E’ permeato da queste consapevolezze il diario di memorie di Manlio Simonato (nella foto), nome di battaglia Fortezza, oppure Ascaro. Nato a Bando di Morsano, classe 1925, dopo l’8 settembre Simonato scelse la clandestinità per sfuggire al reclutamento nell’esercito della Repubblica Sociale, ed entrò nella Brigata Garibaldi.

La dimensione umana della Resistenza, fatta da uomini in carne ed ossa, affiora dalle sue pagine, schiette e prive di retorica: le azioni di disturbo e i nascondigli di emergenza, le offensive e i compagni catturati e caduti, Radio Londra, il coraggio, la speranza e notti insonni, a ridosso del Tagliamento e in un’Italia allo stremo.

diario di un partigiano - manlio simonatoIl ricordo non resta circoscritto al conflitto bellico, ma include pure l’infanzia e l’adolescenza in campagna, tra la scuola e i lavori agricoli per aiutare la famiglia. E poi i “giorni del Fascio“, con la propaganda radiofonica, le sensazioni dettate dall’entrata in guerra, la chiamata alle armi del fratello Gildo, che dalla campagna di Russia non fece ritorno. Il dopoguerra, quindi: la leva nel corpo degli Alpini, una lunga malattia e le convalescenze annose, la guarigione, l’impegno per i lavoratori e le lotte sindacali, gli insegnamenti dell’amico Pier Paolo Pasolini e gli incarichi nel PCI. Indissolubile si staglia il legame con la terra e con il Friuli, sempre in primo piano, e centrale il ruolo degli amori, e del matrimonio con Amina, nel 1960.

Nelle riflessioni finali si percepisce il disagio avvertito di fronte ai tanti revisionismi del presente, ad una vulgata distorta che tende a scalzare i partigiani dalla memoria, ad equipararli ai repubblichini di Salò e quindi all’invasore nazista, a raccontarli come miliziani fanatici e non come fondatori dell’Italia repubblicana, dimenticandone (con l’eccezione del Quirinale) i valori. Riconoscere gli eccessi, che ci furono, non deve sminuire la portata storica e morale della Resistenza.

 Antonio Costantini